In occasione della JAPAN WEEK TORINO il MAO presenta al pubblico lame mai esposte e dipinti e stampe che per motivi conservativi sono rimaste per anni al buio nei depositi.
A partire dal pomeriggio di venerdì 19 ottobre i visitatori potranno godere di una nuova selezione di lame giapponesi grazie alla collaborazione con INTK (Itaria Nihon Token Kyokai), l’Associazione Italiana per la Spada Giapponese. Si potranno ammirare, mai esposte prima, 5 token (spade giapponesi forgiate con metodo tradizionale), katana, wakizashi e tanto con le rispettive montature. Le lame presenti nella vetrina sono di notevole qualità e pregio; la loro creazione si individua tra l’inizio del XVI secolo e la metà del XIX. Tra queste va citata la lama forgiata da Muramasa e considerata “maledetta”. La tradizione vuole che lo shogun Ieyasu, dopo che diversi membri della sua famiglia furono feriti o uccisi da una lama del grande forgiatore, avesse stabilito un “bando delle Muramasa” vietandone il possesso e ordinando che fossero tutte distrutte. Naturalmente alcune lame furono distrutte, ma a molte altre fu solo rimossa o alterata la mei, firma, così come alla lama esposta al MAO dove la mei Muramasa è stata trasformata in "Tsunahiro". Una delle tracce visibili di questa operazione è un avvallamento e un diverso colore, lucentezza e corrosione della patina su quel lato del nakago, la parte di lama all'interno dell'impugnatura. Del tutto simile a quella che troverà spazio nella Galleria Giapponese del MAO è una lama con firma modificata esposta al Museo Nazionale d Tokyo. I foderi, quasi tutti di periodo Edo - tra XVIII e XIX secolo – sono in legno di magnolia laccato di vari colori. Si noti il koshirae in stile kuro-urushi uzumaki, impugnatura rivestita di pelle di razza e tessuto intrecciato con fornimenti metallici in leghe varie, corredato con coltellino e spillone.
La necessità di mettere a riposo periodicamente le opere più delicate offre l’occasione di rendere visibile al pubblico, a rotazione, tutta la collezione giapponese del Museo. A partire da martedì 23 ottobre si potranno nuovamente ammirare alcune opere rimaste a riposo oltre quattro anni, tra queste otto kakemono. I kakemono, letteralmente “cose da appendere”, sono i tradizionali rotoli verticali che incorniciano eleganti dipinti e calligrafie su carta o su seta. Si appendono alle pareti delle case giapponesi, e in particolare nel tokonoma, una rientranza rialzata presente nelle abitazioni tradizionali dove vengono messi in mostra oggetti di valore. Il kakemono fu introdotto in Giappone dalla Cina, probabilmente nel periodo Heian (794-1185), e all’inizio era utilizzato essenzialmente come supporto per soggetti religiosi di tipo buddhista. Divenne in seguito uno dei mezzi di espressione artistica prediletto dai pittori giapponesi.
In questa nuova esposizione si potrà ammirare anche la Carpa che risale la cascata - inchiostro su tela - di Maruyama Ozui (1766-1829). Un dipinto essenziale e moderno che riporta la data: anno della Capra Kansei 11 (寛政己未仲夏冩 Kansei tsuchinoto-hitsuji chūka utsusu), corrispondente al 1799, nel mezzo dell'estate, con firma e sigillo: 応瑞 Ōzui. Un'antica leggenda cinese racconta di una carpa che, al termine di un lungo viaggio nel Fiume Giallo e dopo aver superato numerosi ostacoli e spiriti malvagi, in un giorno d'autunno riuscì a risalire la cascata situata sulla Porta del Drago. Gli dei allora, impressionati da tanto coraggio, la trasformarono in un grande drago. Il significato di questa leggenda è legato alla forza di volontà e al cambiamento in positivo dopo innumerevoli sforzi e sacrifici, sottolineando che chiunque può arrivare a importanti risultati compiendo grandi imprese. Nel corso della sua storia, il Paese del Sol Levante ha attinto dal grande patrimonio culturale del continente, e dalla Cina in particolare, ma è riuscito sempre ad interiorizzarlo e restituirlo in maniera originale. Così in una cultura ricca di simbologie applicate anche alla vita quotidiana, la carpa, koi, è considerata uno dei pesci con più energia e forza ed è divenuta simbolo di coraggio e perseveranza; il suo nuotare controcorrente viene interpretato come anticonformismo e col tempo è divenuta evocativa della fedeltà nel matrimonio e di buona fortuna in genere.
Passando attraverso il corridoio dedicato alle stampe ukiyo-e il visitatore sarà accompagnato nell’arte del periodo Edo (1603-1868) attraverso la presentazione di xilografie policrome, biglietti augurali surimono e volumi a stampa. Tra le opere esposte il pubblico potrà trovare autori di grande fama, in Giappone come in Occidente, da Kunisada a Hiroshige II a Hokusai. La tecnica della xilografia era stata introdotta in Giappone dalla Cina nel periodo Heian (794-1185), ma il suo impiego era inizialmente limitato alla riproduzione di testi e immagini religiose. Alla fine del XVI secolo comparvero le prime stampe a carattere profano in bianco e nero, che nel primo periodo Edo cominciarono ad essere dipinte a mano. Si aggiunsero man mano altri colori, finché verso il 1765 perfezionò la stampa policroma. Cominciò così l’epoca d’oro delle ukiyo-e, “rappresentazioni del mondo fluttuante” che diedero alla xilografia una dignità artistica senza eguali in Asia orientale. Il termine “mondo fluttuante” fa riferimento alla transitorietà delle cose terrene e riflette l’atteggiamento di raffinato edonismo affermatosi tra i circoli di intellettuali, mercanti e artigiani delle grandi città. Le stampe raffigurano i soggetti più amati, quali le beltà femminili, il mondo del teatro kabuki, scene erotiche, paesaggi famosi e immagini della natura e della tradizione popolare. Nello stesso clima che fiorirono anche i surimono, letteralmente “cose impresse”, eleganti stampe utilizzate come biglietti augurali che circolavano in una cerchia limitata di persone con cultura e gusti affini. Peculiare è la compresenza di immagini e di testi poetici, frutto della collaborazione tra pittori e scrittori, mediata dall’arte di esperti calligrafi e dall’abilità di intagliatori e stampatori. I soggetti comprendono nature morte che accostano oggetti del costume di vita giapponese, scene teatrali o legate alla rinnovata popolarità di antichi testi letterari, temi soprannaturali o esotici spesso tratti da racconti cinesi. Tra i surimono esposti in questa occasione, uno del Maestro Katsushika Hokusai (1760-1849), Giovane donna che dà il mangime a gallo e gallina del 1804, una silografia su carta nella tecnica nishiki-e “a broccato” con aggiunta di particolari in oro. L’opera, realizzata in un formato poco consueto come il koban tate-e, porta leggibile la firma del disegnatore 画狂人 Gakyōjin Hokusai. Come si è detto poco sopra, le scene di vita quotidiana sono assai frequenti: in questo caso è ritratta una giovane donna che con grazia ed eleganza dà il mangime ad un gallo e ad una gallina facendolo cadere da un piattino. L'ambientazione della stampa sembra essere un tempio shintoista, e i piattini contengono probabilmente le rimanenze del riso usato per la preparazione del sake. Il richiamo alla bevanda alcolica ha anche un'altra implicazione: la lettura degli ideogrammi a destra del testo principale 三輪味酒, sanron mishū, potrebbero alludere alle tre diverse opinioni sul gusto del sake.