Per il ciclo MILLE E UNA STORIA il MAO presenta una nuova selezione di manufatti nella sezione riservata ai tessuti della Galleria dedicata all’arte islamica dei Paesi dell’Asia.
A partire da martedì 10 aprile nella nuova esposizione al pubblico si potranno ammirare, mai esposti prima, 7 tappeti da preghiera di notevole qualità e pregio. Gli esempi selezionati - di lana e di seta, piccoli come siamo abituati a vedere e grandi fino cm 125x205 - provengono principalmente dall’Anatolia e sono databili tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo.
Dopo i tessuti dedicati alla cavalcatura e quelli turkmeni, questa rotazione di opere concluderà la prima collaborazione con lo studioso e collezionista di fama internazionale Taher Sabahi, che ha offerto importanti spunti di riflessione su diversi aspetti storici e sociali dell’arte tessile islamica.
Tra i fondamenti (arkan) della religione musulmana insieme alla professione di fede (sahada), all’elemosina spirituale (zakat), al pellegrinaggio alla Mecca (hagg) e al digiuno nel mese di Ramadan(sauam), c’è anche la preghiera (salat), inizialmente stabilita nell’arco delle ventiquattrore nel numero di tre orazioni, poi elevato a cinque.
La preghiera deve essere compiuta dal fedele in uno stato di purità rituale orientandosi verso la Mecca; questa direzione si chiama quibla e all’interno delle moschee è caratterizzata dal mihrab, un elemento architettonico a nicchia la cui raffigurazione si trova su tutti i tappeti da preghiera (seccade).
Sebbene non esistano precetti riconducibili al Corano o ai detti e fatti del Profeta Maometto (hadith) sulla necessità del tappeto durante la preghiera, tantomeno sul suo uso, si tratta di manufatto che ha una storia antica ed è riconducibile alla necessità del fedele di trovarsi in uno stato di purità, delimitando uno spazio definibile puro o sacro. Il tappeto da preghiera diventa così carico di valore simbolico, uno spazio su cui il fedele durante la sua preghiera entra nella “dimensione del celeste”.
L’enorme diffusione di questi manufatti ha portato da una parte alla codificazione di molti degli elementi iconografici, dall’altra allo sviluppo di stili e tecniche profondamente differenti nei diversi Paesi di fede musulmana. Come anticipato, il mihrab è sempre rappresentato, in modo più o meno evidente, ed è spesso accompagnato da una lampada appesa, come richiamo alla luce della fede e alla vita. Al posto della lampada si possono trovare anche vasi di fiori o un cipresso, con significato per entrambi riconducibile all’albero della vita. Nell’apparato decorativo possono essere presenti elementi naturalistici come appunto i fiori, o fortemente stilizzati come accade di frequente per le stelle e non è insolito trovare versetti del Corano, la data di realizzazione del manufatto e anche il nome del tessitore.
Tra i tappeti da preghiera, gli esemplari più interessanti sono soprattutto quelli prodotti in Turchia tra il XV e il XX secolo, sui quali si assiste anche a una trasformazione del mihrab in una porta che si affaccia su un giardino, a volte quadripartito, evidente simbolo del Paradiso.