L’esposizione in Sala Mazzonis, al primo piano del MAO Museo d’Arte Orientale, farà immergere il visitatore nell'atmosfera magica, piena di luce e di colori del Giappone di fine Ottocento.
Fulcro dell’allestimento sarà la proiezione delle immagini di circa 90 gento-ban, diapositive di vetro colorate a mano.
Completano l’esposizione una lanterna magica francese Radiant tipo Mazo, di fine XIX secolo, stampe litografiche a colori e stampe all’albumina colorate a mano, provenienti dagli Stati Uniti, datate tra il 1856 e il 1898.
A concludere i ritratti ufficiali dell'Imperatore Meiji e dell'Imperatrice Shoken, 1873, due stampe all'albumina del fotografo Uchida Kuichi.
Il nome attribuito in epoca Meiji (1868-1912) a queste nuove meraviglie della modernizzazione è composto da tre caratteri giapponesi 幻燈板che significano:
gen “fantasma, illusione”
to “luce, lampada”
–ban “placchetta, lastra”
Il termine gento indicava il proiettore attraverso cui erano mostrate le diapositive, ovvero la lanterna magica.
Al pari delle famose fotografie all’albumina della scuola di Yokohama, le gento-ban sono frutto del contesto socio-culturale di un Giappone che da poco si era aperto all’Occidente dopo secoli di isolamento e ne forniscono un vivido spaccato, benché filtrato dalle lenti di una visione edulcorata ed esotizzante: geisha, samurai, paesaggi idilliaci e vedute del Monte Fuji. La proiezione delle diapositive di vetro nei salotti dell’alta borghesia occidentale riproduceva in questo modo il mondo esotico e lontano del Sol Levante come in uno spettacolo pre-cinematografico, luminoso e vivace. Ogni aspetto seriamente documentaristico, come la povertà e la vita dura di buona parte della popolazione nell’epoca di transizione tra feudalesimo e modernità, veniva volutamente escluso.
Nell’arco di una cinquantina d’anni, migliaia di fotografi, dapprima occidentali e in un secondo momento anche giapponesi, hanno realizzato un numero impressionante di immagini che venivano subito immesse sul mercato. Tali immagini sulle diapositive erano ottenute a partire da negativi fotografici o stereografici e poi, come le stesse fotografie all'albumina, erano finemente colorate a mano da maestranze locali.
Fotografie, stereografie e diapositive, ma anche le stampe silografiche ukiyo-e che si vendevano a buon mercato nel Giappone di allora, erano i souvenir più comuni che i primi turisti occidentali portavano a casa con sé dopo lunghi viaggi per il mondo: tutti questi materiali hanno contribuito in maniera indelebile alla formazione di una certa immagine idealizzata di quel lontano paese in Europa e in Nord America. Le gento-ban, col loro significato letterario di “Illusioni di Luce”, rappresentano al meglio quell’idea di un Giappone da sogno che noi tutti, consciamente o inconsciamente, tuttora ricerchiamo.
Per molto tempo queste opere sono state in qualche modo marginalizzate dalla critica giapponese e relegate nella categoria della fotografia “turistica” (Pictorial Japanalia). Dagli anni settanta del Novecento, un’intera generazione di critici giapponesi ha ricontestualizzato i valori di tali immagini, evidenziandone l’estetica della nostalgia e del “mondo che fu” che caratterizzava la cultura giapponese della seconda metà dell’Ottocento.
Le diapositive proiettate e gli oggetti esposti fanno parte della Collezione PerArt.
L'esposizione fa parte del programma di eventi promossi in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone, avvenute con la firma del primo trattato di amicizia il 25 agosto 1866 durante la missione di circumnavigazione del globo della pirocorvetta Magenta.
Ingresso alla mostra con biglietto delle collezioni permanenti del Museo.